Ricordo di un Presidente

di Mario Almerighi – Tratto da Il Fatto Quotidiano del 7 marzo 2010
Ho conosciuto Sandro Pertini quando, negli anni ‘70, ci chiamavano “pretori d’assalto”. Lo incontrai per la prima volta quando era presidente della Camera.
Pertini rappresentava, per noi giovani, la storia, il collegamento tra le sofferenze della guerra trascorsa e le conquiste di libertà, le speranze di progresso e di sviluppo della nostra democrazia. Nell’inverno del 1974, l’Italia era in piena crisi petrolifera. Le case, gli ospedali, le scuole erano prive di riscaldamento. Mancava il gasolio e la benzina. Ero pretore a Genova. In seguito a indagini, intercettazioni telefoniche e sequestri di documenti, accertai che i petrolieri pagavano tangenti pari al 5% dei guadagni loro concessi da leggi approvatedalParlamento.Ipetrolieri erano i corruttori e ministri e parlamentari i corrotti. All’epoca l’organo inquirente dei ministri era la Commissione inquirente, formata da deputati e senatori e gli atti del processo dovevano essere consegnati al presidente della   Camera. Pertini mi ricevette, lesse in mia presenza alcuni documenti. Pianse dalla rabbia e l’indomani dichiarò: “La morale è una scienza morta se la politica non cospira con lei e non la fa regnare nella nazione. La democrazia si difende, si sostiene e si rafforza con una grande tensione morale; la corruzione è nemica della democrazia, la corruzione offende la coscienza del cittadino onesto, l’esempio deve essere dato dalla classe dirigente e in primo luogo da me che vi parlo. Si colpiscano i colpevoli di corruzione senza pietismi, senza solidarietà di amicizia o di partito. Questa solidarietà sarebbe vera complicità, la politica deve essere fatta con le mani pulite”.

PIANOSA. Quando, nell’aprile del 1932, nel carcere di Pianosa fu trasferito presso il sanatorio giudiziario, in precarie condizioni di salute, la madre presentò domanda di grazia alle autorità. Pertini così le scrisse: “Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna. Quale smarrimento ti ha sorpresa, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente così allontanata da me, da non intendere più l’amore, che io sento per la mia idea?”. Venne   accusato di “istigazione all’odio tra le classi sociali” oltre che dei reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa della irresponsabilità del re per gli atti di governo. Pertini, sia nell’interrogatorio dopo l’arresto, sia in quello condotto dal procuratore del Re, nonché all’udienza pubblica davanti al Tribunale di Savona, rivendicò il proprio operato assumendosi ogni responsabilità e dicendosi disposto a proseguire nella lotta per la libertà, qualunque fosse la condanna a cui andava incontro.

QUIRINALE. Nel periodo della sua permanenza al Colle contribuì a fare della figura del presidente della Repubblica l’emblema dell’unità del popolo italiano. La sua statura morale contribuì al riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni, in un momento difficile e costellato di avvenimenti delittuosi come quello degli anni di piombo. In seguito al terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, dopo pochi giorni, denunciò pubblicamente l’impotenza e l’inefficienza dello Stato nei soccorsi in un famoso discorso televisivo a reti unificate, in cui denunciò quei settori dello Stato   che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel caso del terremoto del Belice. Nel febbraio 1983, tra lo stupore generale visitò in ospedale il giovane Paolo Di Nella, militante del Fronte della Gioventù, in coma per essere stato colpito alla testa da un sasso mentre affiggeva dei manifesti, e che nei giorni successivi morì. Nel 1988, si recò a visitare la camera ardente di Almirante, il segretario politico del Msi. Alle polemiche dei socialisti, così rispose: “Di fronte alla morte di un antico avversario politico che ha sempre portato rispetto alla mia persona e all’istituzione che ho rappresentato, ho ritenuto doveroso questo atto di estremo saluto, che non cancella certo le nostre diverse storie politiche. Ti ricordo, compagno… che a differenza di te che l’attacchi da morto, io i fascisti, prima in galera e poi nella resistenza li ho combattuti da vivi, a viso aperto, rischiando la mia pelle. Ora io saluto, con il rispetto dovuto, il collega parlamentare defunto, ricordandone   l’elevato impegno politico e la coerenza di ideali. A ciascuno il suo, nel doveroso silenzio di fronte alla morte. Pertini considerava la libertà e la giustizia sociale un binomio inscindibile. Nel corso di una intervista disse: “Se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero”

La sua personalità era intrisa dei princìpi che avevano ispirato la democrazia parlamentare e repubblicana, nata dall’esperienza della Resistenza partigiana; era solito sostenere il suo rispetto della fede politica altrui tanto quanto il suo fermo rifiuto di tutte le ideologie che rinneghino la libertà di espressione.

C’ERA SEMPRE. La sua costante presenza nei momenti cruciali della vita pubblica italiana, nelle situazioni piacevoli come nei momenti difficili, è stata probabilmente uno dei motivi della sua grande popolarità. Spesso è stato definito come il “presidente più amato dagli italiani”, ricordato per l’amore verso l’Italia, per il suo carisma, per il suo modo di fare schietto e ironico, per l’onestà, e per aver inaugurato un nuovo modo   di rapportarsi con i cittadini, con uno stile diretto e amichevole. La schiettezza e la pragmaticità di Pertini si riflesse inoltre anche nella sua azione politica ed istituzionale, facendolo apparire come un presidente che puntava alla concretezza, rifiutando compromessi e imponendosi con il suo rigore morale.

L’ELOGIO DI INDRO. Il giornalista Indro Montanelli, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 27 ottobre 1963, scrisse: “Non è necessario essere socialisti per amare e stimare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità”. Pertini fu tra i presidenti che scelsero di non abitare nel Palazzo del Quirinale, mantenendo la propria residenza nel suo appartamento romano, secondo lo stesso Pertini per espresso desiderio della moglie. Visse infatti per molti anni in un attico che s’affaccia sulla fontana di Trevi. Gli abitanti del quartiere lo incontravano spesso, quando la mattina la macchina andava a prenderlo per andare “in ufficio” al Quirinale senza grandi apparati di sicurezza; per chi lo riconosceva e lo salutava, soprattutto i bambini,il presidente aveva sempre un sorriso e un gesto di saluto.

Nella primavera del 1981 Pertini presiedette un’infuocata seduta del Csm di cui anch’io facevo parte. Erano in corso le indagini sulla P2 e il vicepresidente dell’epoca, il successore di Vittorio Bachelet, che era stato ucciso dalle Br, ne era rimasto coinvolto. Ero il più giovane del Consiglio e mi ero espresso per le dimissioni del vicepresidente. Al termine della seduta, lo avvicinai: “Le chiedo scusa se mi sono permesso di avere la pretesa che ascoltasse le mie modeste parole”. “No, no… hai fatto benissimo… sai io preferisco ascoltare le parole dei giovani… voi giovani non avete ancora imparato a fare gli equilibristi… tu cerca di non impararlo mai… sai, quelli ogni tanto soffrono di vertigini e ogni tanto cadono…chi invece poggiai piedi sulla strada in cui crede va avanti sereno almeno col proprio animo”. E poi aggiunse: “Chissà se un giorno saranno ripagati i nostri sacrifici della resistenza… senza legalità non
può esserci né libertà né democrazia… coraggio, coraggio… i tempi cambieranno… la storia deve andare avanti…”.

Fu l’ultima volta che parlai con Sandro Pertini, ma ancora oggi penso a quella frase: “Chissà se un giorno…”. “Tutto muore con noi – era solito dire – però noi rimaniamo nel cuore di quelli che ci amano. Lì non muoriamo mai, e perciò possiamo parlare con i nostri cari, ed essi parlano a noi in silenzio”. Quanto vorrei oggi che Sandro Pertini non si limitasse a parlare a quelli che lo hanno amato e che lo amano ancora oggi.
Un’immagine del ligure Sandro Pertini

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Pertini, uno sguardo verso il futuro

Più di ogni altra cosa in lui potè lo sguardo: illuminava come un neon, ma sapeva essere severo. Poteva fare racconti lunghissimi senza aprire parola. Severo, burbero, padre della patria, un ruolo che lo compiaceva anche. Ma aveva il dono di saper piangere.

Come racconta il giudice Mario Almerighi, biografo ufficiale di Sandro Pertini. Era il 1974, Almerighi mise mano a quello che sarebbe passato alla storia come lo scandalo  petroli. Il magistrato, già presidente della Fondazione Sandro Pertini e oggi alla guida dell’Associazione Sandro Pertini  Presidente, si presentò nell’ufficio del Presidente della Camera Pertini per far capire di cosa si trattasse: “Gli dissi che in quell’elenco di uomini corrotti c’erano anche compagni del Partito socialista. Pertini pianse, per poi sussurrare: “Andate avanti, la legalità prima di tutto”. Il primo incontro con il futuro Presidente, che divenne poi anche un amico, fu una lezione di condotta civile, una pagina sincera di vita di un uomo che non tornerà più. “Pertini – continua Almerighi – era soprattutto una persona di cultura. Lo dico a malincuore, ma la cultura politica degradata che abbiamo ora non può più produrre uomini come lui”. Per capire di che pasta fosse fatto bisogna andare a scovare nelle sue biografie, giovanissimo carcerato, disoccupato esiliato in Francia, socialista senza nessuno schema. E così ha fatto Almerighi, che nel libro “La politica delle mani pulite”, raccoglie lettere e testimonianze. Come la lettera in cui un giovanissimo Pertini in carcere scrive alla madre sgridandola per aver chiesto l’indulgenza a Mussolini. “Era uomo d’un pezzo. Dopo quel primo incontro, ci vedemmo spesso, io giovane membro del Consiglio Superiore della Magistratura e lui Presidente della Repubblica. Appena arrivato a Roma, raccontò di quando dovette cacciare a male parole un imprenditore venuto a chiedere una tangente”. Gli aveva gridato: uscite al più presto o vi prendo a calci nel sedere, attaccandosi con i denti a quella che era la sua dignità di uomo di Stato. E così una volta arrivato al Colle, Pertini parlava nello stesso modo, senza nessuna solennità, ma soprattutto parlava spesso e con un linguaggio che arrivava nelle case delle persone. A quel signore l’Italia si aggrappò alla vigilia di un’estate del 1978 che aveva già consumato la strage di via Fani e il delitto Moro. “Lo vedevo al Csm – continua Almerighi – ogni volta che moriva un magistrato. Era furioso, e diceva sempre: noi non abbiamo fatto la lotta partigiana per vedere tutto questo”.

In quel periodo di pallottole e sangue, di un Paese spaventato che a malapena riusciva a blaterare “né con lo Stato né con le Brigate Rosse”, lui una cosa la chiarì subito: io sto con lo Stato. Fu una rivoluzione, quella del cittadino Sandro Pertini. Il vocabolario grillino non esisteva, ma lui già diceva di “essere un cittadino al Quirinale”, come scrisse Giampaolo Pansa nel 1990. Mantenne – e questo non se lo aspettava nessuno _- la nave Italia ormeggiata al molo, senza mai – lui nato vicino a Savona, col libeccio nel sangue – cedere un passo. Più il vento tirava forte e più lui stringeva i denti e la pipa. “C’è la tendenza – dice Almerighi – a considerare Pertini un diverso, un anomalo della politica italiana. Attenzione però a non usarlo come discorso riduttivo, per sminuire la sua persona. E’ stato un personaggio diverso , che ha dato stabilità e credibilità alle istituzioni come nessun altro. Magari i “normali” di oggi diventassero diversi come lui”. Ed era un semplice. L’uomo che quando seppe dell’elezione a Presidente della Repubblica, uscì di casa in piazza Trevi e andò a piedi fino in Quirinale, stringendo le mani della gente. “Ero in quella piazza per celebrare il trentennale della morte di Pertini e ho parlato con i commercianti, le persone che abitano lì. Tutti lo ricordano come fosse ieri”.

Si scomponeva, Pertini, ma in un attimo si ricomponeva. Piangeva in piazza Maggiore, a Bologna, accanto al sindaco Renato Zangheri, per i funerali delle vittime della strage. Pianse come non lo videro mai quel giorno. Ma era appunto la storia. Poteva fulminarti con uno sguardo che profumava come l’incenso e abbagliava come un’insegna. “Mi piace ricordare – conclude Almerighi – di quel giorno al Csm, quando si decideva della sorte di Ugo Zilletti, implicato nell’inchiesta sulla P2”. Una discussione tesa fino all’ultimo e molti che cercano di convincere Pertini ad aspettare la fine delle indagini. “Io feci un discorso a garanzia della credibilità del CSM , non ammettevo tentennamenti. Il Presidente disturbato da mille voci era distratto e mi permisi di dirgli: “Mi deve ascoltare, è importante”. Lo sapeva. Rispose: “Almerighi sono dalla sua parte. Cercano di tirarmi per la giacchetta, ma la mia posizione è sempre quella”. Era la sincerità di un uomo che fece grande un’Italia sull’orlo del precipizio. Padre austero, capace di parole forti quando serve e di lacrime quando la vita non lascia altra scelta. Come il 7 giugno del 1984, quando in ospedale a Padova assistette alla morte di Berlinguer. Gli tremavano le gambe il giorno in cui i medici dissero che no, non c’era più niente da fare. Si caricò la bara del compagno Enrico sulle spalle e sull’aereo presidenziale, decollarono dall’aeroporto di Tessera alle 19.40. In una piazza San Giovanni, il 13 giugno, con un milione di persone, si prese due milioni di applausi. E pianse ancora.