In pochi verso la meta

di Gioacchino Natoli

1939-2017

Mario Almerighi, per chiunque ripensi alla sua vita, rappresenta sempre più una rara avis in quella schiera limitata di esseri umani, capace di vedere – con lucida perspicuità – la sostanza vera dei problemi più rilevanti da affrontare e, possibilmente, risolvere.
Ho volutamente usato il tempo presente, giacché ritengo il suo pensiero tuttora capace di generare risultati fecondi, indipendentemente da ciò che finora è accaduto per l’oggettiva “limitatezza” di chi abbia tentato di seguirne le indicazioni.
Con riguardo alla magistratura – perché di essa egli si è occupato in tutta la sua esistenza terrena – la summa del suo pensiero è racchiusa (a mio avviso) nel primo documento del Movimento per la Giustizia, elaborato a Roma il 16 aprile 1988, che era rivolto (o forse dedicato) a tutte le “componenti della società” – e, significativamente, non soltanto ai magistrati – per un “confronto aperto” sulle problematiche di Indipendenza, Terzietà, Dirigenza, Professionalità, Responsabilità e Autogoverno.
Tuttavia, preliminare e fondamentale Mario riteneva essere la “questione morale” – contro le deviazioni delle prassi correntizie – sia come rifiuto di ogni forma di spartizione e di lottizzazione del potere nonché di uso dello stesso a fini di vantaggio individuale o corporativo, sia come rifiuto di ogni forma di collateralismo con centri di interesse o politici per comprimere o influenzare l’indipendenza e l’imparzialità della funzione del Giudice.
Il contenuto di quel pensiero, se pur a distanza di oltre trent’anni, possiede ancora oggi una carica vitale ed una lungimiranza di progettualità e di suggerimenti, che lasciano tutti profondamente sgomenti alla luce della triste stagione che sta vivendo la Magistratura nel suo rapporto con la società civile e con le stesse Istituzioni.
Mario, invero, si era forgiato e temprato nelle oscure stagioni del terrorismo, della mafia, della P2 e della corruzione degli anni Settanta-Novanta (le quali non avevano risparmiato neppure il mondo giudiziario), ed ha voluto indicare – mediante l’esempio della sua vita professionale e delle sue scelte personali – un “progetto di azione” agli uomini di buona volontà della migliore magistratura, che ha certamente peccato di generoso ottimismo circa le “qualità” caratteriali necessarie per realizzarlo.
Per tale motivo, forse, quel progetto non è stato ancora percorso, giacché richiede forti gambe, schiene diritte, cuori nobili e cervelli scevri da secondi fini: qualità, tutte, che Mario possedeva in larga misura e che aveva riconosciuto in taluni, rari, esempi di compagni di viaggio scomparsi come lui, che sono risultati, però, ancora pochi per raggiungere la meta…

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