Quel grumo di…

di Vito D’Ambrosio

30 gennaio 1992 pomeriggio inoltrato. Entra nell’Aula Magna del Palazzaccio a Roma la prima sezione penale della Corte di Cassazione per leggere la sentenza definitiva sul maxi processo contro la mafia istruito da Giovanni Falcone. Il numero di imputati , più di 400, e dei reati contestati allungano assai la lettura, ma orecchie esperte capiscono molto presto che la Suprema Corte ha confermato le conclusioni del pool di magistrati, guidati da Falcone, nel costruire il processo forse più grande del mondo. Dopo la lettura e il ritiro della Corte, nella grandissima confusione tra il pubblico per capire quanto era accaduto, fra ergastoli confermati in massa, qualche annullamento con rinvio e nuovo calcolo delle pene, alcuni giornalisti amici mi chiedono se, come pubblico accusatore, insieme ad altri due colleghi (evento unico per i processi in Cassazione) ed amico personale di Falcone, sono contento della conferma per le sue tesi accusatorie, fondamento della catena di ergastoli ormai definitivi. Dopo essermi guardato dentro con attenzione, rispondo che dietro ad ogni ergastolo c’è un tale enorme grumo di dolore che parlare di contentezza non è concepibile per i rappresentanti delle istituzioni. Anche se dopo un mese di udienze (anche questo caso assai raro) non posso negare una asciutta soddisfazione professionale e la convinzione che l’impegno senza fine di tanti, dimostrato da pochi numeri (oltre 500.000 pagine di documenti, più di 7000 per la sentenza di primo grado e oltre 2000 per quella d’appello) ha portato alla riaffermazione della giustizia nei confronti di chi l’ha ferita tanto ferocemente e lungamente.
Così la pensavo allora. Così la penso oggi.

Due parole su Battisti

di Leonardo Agueci

“L’impegno dello Stato per riportare in Italia Cesare Battisti è stato sacrosanto, se non altro per l’infinito rispetto che si deve alle vittime, ed ai familiari, dei crimini di cui è stato riconosciuto autore. Ma la gestione comunicativa del suo arrivo in Italia, la presenza dei ministri in attesa all’aeroporto (come se si fosse trattato di un Capo di Stato!), il linguaggio terrificante da questi adoperato, il video grottesco e ridondante di retorica del Ministro della Giustizia, la ingiustificata gogna mediatica imposta al condannato, e tante altre facezie che hanno accompagnato questa vicenda, sono state manifestazioni indegne di un paese civile per le quali io stesso, come cittadino italiano e uomo delle Istituzioni, provo una gran vergogna!”