In libreria “Il testimone” di Mario Almerighi

Mario Almerighi, giudice in prima linea nella lotta alla mafia e agli apparati corrotti dello stato, ripercorre quarant’anni di storia italiana, tra delitti dimenticati e politici impuniti. Una storia che inizia in Sicilia a fine anni settanta, quando il magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto avvia un’inchiesta su uno dei clan mafiosi più attivi della zona. Montalto si ritrova presto da solo nelle indagini e accerchiato dalle minacce, e il 25 gennaio 1983 viene freddato da un commando di sicari.

Da questo omicidio di un servitore dello stato che lo stato stesso non ha saputo o non ha voluto proteggere, parte una scia di sangue e malaffare che intreccia politica, corruzione e criminalità organizzata: la lotta tra le procure, il ruolo del giudice Carnevale, il famigerato “ammazzasentenze”, i legami del potere siciliano con il governo Andreotti. L’antimafia serra i ranghi, sono gli anni del maxiprocesso di Falcone e Borsellino, in risposta alla stagione degli omicidi eccellenti di mafia: Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa, fino all’emissario di Andreotti a Palermo, l’onorevole Salvo Lima. Saltano tutti i patti, lo stato forse si compromette oltre ogni misura: Mario Almerighi di quei fatti è stato protagonista, un testimone che racconta in questo libro, per la prima volta, la sua versione.

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dal resoconto stenografico Senato della Repubblica. Seduta pomeridiana del 28 marzo 2017

LUMIA (PD). Signora Presidente, anche il nostro Gruppo vuole rendere omaggio alla storia, all’impegno e alle qualità umane e professionali di Mario Almerighi. Giudice rigoroso, appassionato, colto e impegnato, Almerighi ha iniziato la sua attività a Genova, dove, insieme ai suoi colleghi Carlo Brusco e Adriano Sansa, si misurò con il famoso scandalo dei petroli: un lavoro intenso, rigoroso, impegnativo e rischiosissimo. Almerighi stesso lo descriveva così: «Ci occupammo delle multinazionali del petrolio italiane e straniere e della subordinazione della politica e del loro potere». Sandro Pertini lo comprese bene e lo accolse proprio qui al Senato; parlò con Almerighi e i suoi colleghi, tra l’altro in circostanze singolari, e li incitò ad andare avanti. Anche a Roma la sua attività non fu facile: basti pensare al suo lavoro sul banchiere Roberto Calvi, ma vorrei ricordare anche la sua attività sulla morte dell’agente del reparto speciale dei NOCS, Samuele Donatoni, rimasto ucciso durante lo scontro a fuoco tra le Forze dell’ordine e i sequestratori di Giuseppe Soffiantini, ucciso proprio dai rapitori. Famoso anche il suo scontro con Andreotti: furono in tribunale ed ebbe il giusto riconoscimento. Fu anche membro del Consiglio superiore della magistratura, eletto infatti nel 1976, ed è stato fondatore con Giovanni Falcone del Movimento per la giustizia. Tra i suoi tanti colleghi che caddero durante la sua attività, anche lui impegnato nella lotta alle mafie e al terrorismo, volle ricordare in modo particolare, con un testo teatrale, Giangiacomo Ciaccio Montalto, ucciso il 25 ottobre 1983 a Valderice, in Provincia di Trapani. Un uomo colto e brillante, tanto da dedicarsi alla scrittura di libri, romanzi e, appunto, testi teatrali di successo. Alla fine della sua carriera non arrivò il giusto riconoscimento dello Stato. Da parte del tribunale di Civitavecchia, dove fu presidente, e da parte proprio del Consiglio superiore della magistratura ricevette solo amarezze. Succede spesso a quelli che possiamo definire «servitori dello Stato». Lungo il suo cammino professionale non sono mancati successi e riconoscimenti, ma anche problemi e difficoltà. Dobbiamo sempre ricordare che i servitori dello Stato non si arrendono. Non è facile servire lo Stato italiano; spesso gli ostacoli sono alti e i rischi elevati. Mario Almerighi non si è mai fermato di fronte agli ostacoli e non si è fatto mai intimidire dai rischi a cui, con le sue attività giudiziarie, è andato incontro. Lo Stato va servito, costi quel che costi, anche quando non conviene: così ha fatto Almerighi e così noi gli rendiamo omaggio. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. La Presidenza si associa al ricordo e al cordoglio per la scomparsa di un magistrato che ha speso la sua vita al servizio dello Stato e della legalità e chiede all’Assemblea di condividere, con un minuto di silenzio, questo cordoglio. (La Presidente si leva in piedi e con lei tutta l’Assemblea, che osserva un minuto di silenzio).

Commemorazione Almerighi Senato 280317/2

dal resoconto stenografico Senato della Repubblica. Seduta pomeridiana del 28 marzo 2017

CALIENDO (FI-PdL XVII). Signora Presidente, io conoscevo Mario Almerighi da quarantasette anni. Egli non avrebbe mai voluto essere ricordato come un combattente ideale e politico: era un magistrato, un magistrato che credeva nella forza della legge, nella forza della legalità. Noi entrammo insieme in magistratura e dopo cinque anni fummo eletti al Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio di Vittorio Bachelet. Abbiamo sofferto tutta l’epoca del terrorismo nel nostro Paese. E non erano certamente le posizioni politiche che ci aiutavano a ragionare e lottare! (Applausi dei senatori Bernini e Sacconi). Ieri, al suo funerale è stato ricordato come, quando lasciò Civitavecchia, non per il silenzio di quest’Assemblea ma per una gestione burocratica del Consiglio superiore della magistratura, egli disse: «Ho dato la mia vita per la legalità e la giustizia. Forse questa è la mia colpa». Questa è la legge. Questa è la logica dell’uomo. Egli era nato in Sardegna e io mi divertivo molto quando ascoltavo una frase in lingua sarda senza consonanti – che il collega Cucca, nonostante sia sardo non riesce a pronunciare – che lui diceva sempre. Era un uomo poliedrico che aveva tanti interessi nella vita. Oltre a fare il magistrato, ha scritto dei libri e negli ultimi tempi si era dedicato anche a creare pièce teatrali e a svolgere attività di sceneggiatore, tanto da avere avuto la soddisfazione di vedere i suoi lavori programmati in vari teatri. È questa la logica della commemorazione. Non è uno scontro politico, ma è la logica di commemorare un uomo che ha servito lo Stato, servendo la legge, e la legge è al di sopra di tutti noi. Credo che questo sia il migliore ricordo di Mario Almerighi. (Applausi dai Gruppi FI-PdL XVII e CoR).

Commemorazione Almerighi Senato 280317/1

dal resoconto stenografico Senato della Repubblica. Seduta pomeridiana del 28 marzo 2017

BOTTICI (M5S). Signora Presidente, qualche giorno fa è venuto a mancare il giudice Mario Almerighi, un giudice dimenticato dai giornali, dalle televisioni e dal pubblico, ma anche dalle istituzioni. Il giudice Almerighi è colui che scoprì lo scandalo dei petroli. È colui che già venti anni prima di Mani pulite affermava che nel Parlamento c’erano politici corrotti. È colui che ha smantellato un sistema e che è stato messo da parte dalle istituzioni, forse perché troppo scomodo. È colui che, alla morte di Roberto Calvi, ha dichiarato che non si trattava di un suicidio ma di un omicidio e che c’erano di mezzo la Chiesa, l’Istituto per le opere di religione (IOR), ma anche in quel caso fu dimenticato. È colui che ha fatto della sua vita un percorso di giustizia, onestà e moralità. È stato relegato al tribunale di Civitavecchia per concludere la sua carriera, ma ciò che ci lascia e ciò che ha fatto negli ultimi anni è il racconto delle vicende e degli scandali di questa Italia. E lo ha fatto forse nel modo più bello: anche attraverso delle rappresentazioni teatrali in cui è riuscito a coinvolgere i ragazzi. Vedo quanto vi interessi. Ed è per questo che i giudici buoni spesso vengono dimenticati. Lui parlava di infiltrazioni mafiose nello Stato e, dopo quarant’anni, abbiamo ancora politici mafiosi; e siedono spesso in queste Aule e chi li ha coperti allora continua a coprirli oggi, sedendo ancora in queste Aule. Chiedo quindi un minuto di silenzio come forma di rispetto per chi ha fatto, per chi ha cercato di togliere la mafia dallo Stato, per chi ha lottato e si è sentito isolato. E ancora oggi quest’Assemblea non dà assolutamente dimostrazione del fatto che i giudici buoni abbiano comunque una carriera illustre. Chiedo pertanto che l’Assemblea osservi un minuto di silenzio come forma di rispetto. «Rispetto», parola che in quest’Aula è assente dal vociferare che si ascolta. Perché io ho sentito in quest’Aula commemorare soggetti che non dovrebbero nemmeno lustrare le scarpe a un giudice. (Commenti del senatore Giovanardi).

PRESIDENTE. Senatrice Bottici, si attenga alla commemorazione del giudice Almerighi senza infangare la memoria di altri. (Commenti del senatore Santangelo).

BOTTICI (M5S). Mi sto attenendo, signora Presidente, e lo sto chiedendo anche a quest’Aula. Il rispetto, infatti, è secondo me la prima cosa che quest’Assemblea dovrebbe insegnare, perché tutto ciò che viene fatto in quest’Aula poi ha un riflesso su coloro che stanno fuori e anche sugli studenti. Io ho conosciuto il giudice Almerighi a una rappresentazione teatrale in cui si raccontava una vicenda, ossia l’omicidio del suo amico Ciaccio Montalto, anch’egli soggetto dimenticato. Mi auguro veramente che questi personaggi vengano ricordati da questa Italia e sicuramente mi auguro che chi ha coperto allora la mafia e ha consentito alla mafia, alla ‘ndrangheta e alla camorra di entrare nello Stato non venga mai ricordato in queste Aule, nonostante si tratti di nostri colleghi. (Applausi dal Gruppo M5S).

A Civitavecchia la biblioteca “Mario Almerighi”

Il 10 Maggio 2017 il Tribunale di Civitavecchia ha intitolato la sua biblioteca a Mario Almerighi. Alla cerimonia, in programma alle ore 14, hanno preso parte Gianfranco Mantelli, presidente del Tribunale, il procuratore della Repubblica Andrea Vardaro, Vincenzo Cacciaglia, pressidente della Fondazione CARICIV e Paolo Mastrandrea, presidente del C.O.A. di Civitavecchia.

Convegno su Pertini all’Aquila

L’attualità di Sandro Pertini è il titolo di un covegno in programma all’Aquila sabato 6 maggio. Nel contesto di una città colpita duramente dal terremoto del 6 aprile 2009 e alle prese con una ricostruzione che non si è risparmiata qjualche inchiesta giudiziaria, la fiigura di Sandro Pertini assume un’attualità quasi paradigmatica.